Lunedì, 13 Febbraio 2017 22:50

DI AUTISMO ED ETICHETTE

2016.02.13 foto blog 2

Lo scorso sabato sono stata a Firenze a tenere una lezione rivolta a operatori di gruppi di persone con disabilità. Mi è stato chiesto di parlare di autismo: uno degli argomenti che più mi interessa e degli ambiti in cui più mi appassiona lavorare, per il semplice motivo che non se ne sa nulla.

Nulla? E’ una provocazione, in realtà se ne sa molto, le conoscenze a riguardo crescono di anno in anno, ma di certo ancora non esiste una risposta univoca sulle cause. E’ ormai accertata l’ipotesi multifattoriale, secondo la quale i fattori eziologici sono molteplici e differenti, ma pare che tali fattori non si intersechino mai allo stesso modo per diversi bambini. Si sa inoltre che l’autismo è un disturbo neurobiologico, il che ha dato sollievo a generazioni di “mamme frigorifero” che in passato si sono sentite incolpate per le difficoltà dei loro bambini, ma nessuno può negare quanto l’incontro di tali fattori con quelli ambientali abbia un peso determinante. E che tra i fattori ambientali sia doveroso includere non solo, per fare un esempio, l’esposizione delle mamme ad agenti teratogeni durante la gravidanza, ma anche e soprattutto le caratteristiche del contesto in cui il bambino è immerso, la qualità delle relazioni con le figure di riferimento nei primissimi anni, e in generale le esperienze di vita. Insomma, sull’argomento ferve il dibattito e ci sono ancora molti dubbi, il che contribuisce a renderlo ai miei occhi (e agli occhi di migliaia di studiosi e operatori coinvolti a diversi livelli) così interessante.

Una delle tematiche su cui più si è dibattuto e si sta dibattendo è quella dei criteri diagnostici. L’ultima versione del DSM, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali pubblicato dall’American Psychiatric Association, detto comunemente “La Bibbia degli psichiatri”, ha infatti notevolmente modificato la categoria diagnostica dell’autismo. Spesso, nel mio ambiente, si tende a denigrare il DSM definendolo un “insieme di etichette”: di fatto lo è, in quanto elenco di sintomi per ciascuna patologia, con la necessità che se ne riscontri un certo numero per ciascuna persona al fine di poter porre la diagnosi. Non ci sono cenni sulle cause dei vari disturbi, né tanto meno sui trattamenti da attuare. Eppure questo “insieme di etichette” ha un’importanza fondamentale per la vita delle persone, in quanto, stabilendo se fare o meno diagnosi, ne influenza l’accesso ai servizi, la presenza di insegnanti di sostegno, la possibilità per i genitori o i caregiver delle persone anziane di ottenere le agevolazioni date dalla legge 104, e tante altre cose. Per questo, un clinico non può permettersi di non essere ferrato sull’argomento.

Cosa è cambiato nel DSM-V riguardo all’autismo?